Articolo tratto da la STAMPA – TUTTOSOLDI (01/06/2015)
Scritto da FRANCESCO SPINI
Fondata nel 1988, Azimut è oggi la più grande realtà finanziaria indipendente del mercato italiano. Dal 2004 è quotata a Piazza Affari. Attualmente è presente in dodici paesi, dall’Europa alla Cina fino al Messico, al Brasile e all’Australia
Una «multinazionale del risparmio gestito», ma anche «un punto di riferimento finanziario per le piccole e medie imprese». È questo il futuro che il presidente e ad Pietro Giuliani immagina per la sua Azimut, reduce dalla trimestrale migliore di sempre. Dietro quei 128 milioni di utili realizzati al 31 marzo, due volte e mezzo i profitti di un anno prima, «ci sono sì anche i tassi bassi e i rendimenti minimi di titoli di Stato e conti correnti, che portano sempre più persone a rivolgersi ai fondi». Ma quello che ha fatto la differenza, dice il manager, è che «noi nei primi 4 mesi abbiamo realizzato una performance netta al cliente il 2% più alta della media del settore dei fondi. Siamo stati più bravi e siamo stati premiati sotto forma di commissioni di performance».
Ingegner Giuliani, già da tempo avete iniziato una diversificazione all’estero. Non bastavano l’Italia e l’Europa?
«Siamo considerati una società “growth”, che cresce. Secondo lei nei prossimi 10-20 anni l’Europa crescerà più o meno di alcune zone dell’Asia, del Sud America o della Turchia? Risposta ovvia, molto meno. Se voglio continuare a intercettare la crescita, devo stare dove questa c’è, per poi metterla al servizio dei nostri clienti, grazie alle nuove opportunità di investimento, e della nostra società in termini di raccolta».
L’ultima operazione è stata in Australia, la penultima in Brasile. Su quali aree puntate?
«Oggi abbiamo tre macro poli. Il primo è l’Europa, a cui sia aggiunge la Turchia, dove abbiamo una quota di mercato del risparmio più alta che in Italia, pari al 2,6%. Per ora parliamo di un mercato piccolo, 30 miliardi di euro. Ma se crediamo, come credono anche a Istanbul, che il risparmio gestito si svilupperà, la nostra è una base per crescere tantissimo».
Il secondo polo?
«È il Sud America. In Brasile abbiamo comprato tre società e creato due start-up, tra società di gestione, di private banking e una rete di promotori. Poi siamo in Messico, che è una finestra anche sugli Stati Uniti. Se riusciamo ad aprire in uno dei paesi tra Colombia, Perù e Cile - le cui borse hanno fatto un accordo - a quel punto la presenza sarà completa. La nostra prossima mossa sarà in uno di questi tre Paesi».
Manca l’ultima regione.
«Asia e Australia, che stiamo rinforzando moltissimo. Siamo a Hong Kong, Shanghai, Taipei e Singapore. In Australia siamo a Sidney e Melbourne. Due società le abbiamo prese, altre 5 le abbiamo nel mirino, 13 sono sotto osservazione. In 10 anni prevediamo di investire là 70 milioni per arrivare a 5,2 miliardi di masse in gestione».

La prossima frontiera?
«Prima che scoppiasse ebola, avevamo avuto un buon contatto con una delle prime cinque banche africane...».
La destinazione è l’Africa?
«È il secondo gradino. Noi oggi facciamo i soldi in Europa, per i prossimi 10 anni li faremo nei Paesi emergenti, per me l’Africa scatterà dal decimo al ventesimo anno. Voglio entrare, non voglio perdere troppi soldi, ma essere pronto per quando il continente partirà».
Oggi l’estero pesa già per il 10% delle masse. L’obiettivo?
«A fine piano, tra quattro anni e mezzo, conto di arrivare ad almeno il 15%. Su un obiettivo totale di 50 miliardi, vuole dire 7,5 miliardi: è più o meno quanto avevamo in totale quando ci siamo quotati, 11 anni fa».
Siete anche nel private equity e nel sostegno alle start-up, tra venture capital e crowdfunding. Qual è l’obiettivo?
«Vogliamo seguire le imprese da quando vengono costituite, fino ad accompagnarle in Borsa o nello sviluppo attraverso fusioni e acquisizioni».
Per Azimut vede quindi un futuro da banca d’affari?
«No, se non per alcuni aspetti. Oggi c’è uno spazio vuoto tra le grandi merchant internazionali, che curano solo le grandi operazioni, e le piccole e medie imprese italiane che non segue nessuno se non le banche locali. Voglio aiutare il sistema a collegare risparmiatori e aziende».
Siete interessati al risiko delle banche popolari?
«Potrei fare accordi importanti con banche popolari partecipando al risiko con l’acquisto di quote. Che prenderei però con l’idea di diventare l’asset manager di riferimento del gruppo bancario che si andrà a costituire».
Cosa sarà Azimut in futuro?
«Un punto di riferimento per le pmi e per chi ci lavora, tra gestione della ricchezza e fondi pensione. E una società con una forte connotazione italo-europea ma multinazionale, che tra 5 anni avrà almeno 50 miliardi di masse gestite e un utile netto stabilizzato a 300 milioni, a prescindere da possibili scossoni sui mercati».
Presto fonderete la Sim con la Sgr. Quale sarà l’effetto?
«Con la razionalizzazione delle due attività - distribuzione e gestione - resa oggi possibile dalla normativa, svincoleremo 650 milioni di cassa che utilizzeremo per aumentare i dividendi, riacquistare azioni e per nuove acquisizioni».
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